La compagnia di animali domestici migliora la qualità della vita e conferma di ciò può trarsi dall’impermeabilità della pet economy rispetto a una generalizzata crisi dei consumi. Va tuttavia osservato che alcuni operatori del settore, concentrati esclusivamente sulla massimizzazione del profitto, trattano gli animali alla stregua di merce, rinchiudendoli in gabbie destinate a essere accatastate in spazi asfittici e nutrendoli quanto basta a garantire la loro sopravvivenza.
Nel nostro ordinamento gli animali non godono di una vera e propria personalità giuridica: per esempio, la Legge quadro n. 281 del 14.08.1991, pur proponendosi di tutelare gli animali di affezione e di prevenire il randagismo è espressamente finalizzata a garantire la salute pubblica e l’ambiente (come indicato nell’art. 1 dedicato ai Principi Generali). Nella medesima ottica, con la Legge n. 189 del 20.07.2004 il legislatore ha aggiunto al Libro II del Codice Penale il Titolo IX-bis che racchiude i ‘delitti contro il sentimento per gli animali’ (tutti, non solo quelli domestici), così confermando che il diritto alla salute e alla vita degli animali vada protetto in via mediata, ossia laddove il maltrattamento o l’uccisione dell’essere vivente sia contrastante con la sensibilità dell’uomo. L’art. 544 bis c.p. punisce infatti con la reclusione da 4 mesi a 2 anni l’uccisione di un animale laddove sia cagionata “per crudeltà o senza necessità” e parallelamente l’art. 544 ter c.p. sanziona con la reclusione da 3 a 18 mesi o con la multa da € 5.000 a € 30.000 le lesioni provocate ad animali, purché sia comunque percepibile la crudeltà o la non necessità dell’atto violento. Quest’ultimo articolo punisce altresì, con la medesima pena alternativa, chi sottopone un animale a sevizie, o a comportamenti, o a fatiche o a lavori che siano “insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, ma criminalizza anche la somministrazione agli animali di sostanze stupefacenti o vietate e la loro sottoposizione a trattamenti che procurino un danno alla salute degli stessi, riconoscendo peraltro in tutte queste ipotesi un aggravamento di pena quando la condotta antigiuridica cagioni la morte dell’animale.
Va però precisato che la semplice detenzione di animali “in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze” è invece considerata meno grave dal legislatore, che ha scelto di ricondurla alla fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 727 c. 2 c.p. sanzionandola con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da € 1.000 a € 10.000. Questo in astratto, perché recentemente la corte di legittimità ha ravvisato la sussistenza del reato di cui all’art. 544 ter c.p. per avere l’imputato “volontariamente sottoposto l’animale a sevizie e ad un trattamento incompatibile con la sua indole, consistente nel tenerlo legato per vari giorni ad una catena all’aperto, senza cure igieniche, senza somministrazione né di cibo né di acqua, in assenza di un valido riparo”, precisando che “sia già di per sé fattore tale da costituire l’elemento materiale del reato contestato il tenere lo stesso, per periodi considerevoli di tempo, in isolamento, legato in uno spazio angustamente circoscritto, senza cure igieniche né somministrazioni alimentari e senza un’adeguata protezione dalle intemperie, con ricadute sulla sua integrità” (Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 8036 del 20.02.2018). Per giustificare l’inquadramento del fatto nella fattispecie delittuosa di cui all’art. 544 ter c.p. anziché in quella contravvenzionale di cui all’art. 727 c. 2 c.p., la Corte ha fornito una curiosa interpretazione delle due norme penali, rilevando che “il criterio discretivo fra le due fattispecie appare essere riconducibile al diverso atteggiamento soggettivo dell’agente nelle due diverse fattispecie criminose, essendo la prima connotata dalla necessaria sussistenza del dolo, persino nella forma specifica ove la condotta sia posta in essere per crudeltà o, comunque, nella sua ordinaria forma ove la condotta sia realizzata senza necessità (…) mentre nel caso del reato di cui all’art. 727 c.p. la produzione delle gravi sofferenze, quale conseguenza della detenzione dell’animale secondo modalità improprie, deve essere evento non voluto dall’agente come contrario alle caratteristiche etologiche della bestia, ma derivante solo da una condotta colposa dell’agente”.
Notato niente? Tipo che la Suprema Corte sembra essersi completamente dimenticata dell’irrilevanza che assume l’elemento psicologico del reato avuto riguardo alle contravvenzioni? A mio avviso la previsione generale di cui all’art. 42 c. 4 c.p., in base alla quale “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa” impedirebbe l’interpretazione normativa prospettata nella sentenza analizzata, posto che essa presupporrebbe una valutazione dell’elemento soggettivo ai fini dell’accertamento di una contravvenzione, ma procediamo oltre.
Passando alle attività, per così dire, ludico-ricreative, l’art. 544 quinquies c.p. punisce una pluralità di condotte, ossia (1) l’organizzazione, la promozione e la direzione di combattimenti o di competizioni non autorizzate tra animali “che possono metterne in pericolo l’integrità fisica”, (2) l’allevamento e l’addestramento di animali per tali scopi, (3) la messa a disposizione di animali per le medesime finalità da parte dei loro proprietari o detentori, nonché (4) l’organizzazione di scommesse sui combattimenti e l’atto stesso di scommettere. Inoltre, ai sensi dell’art. 544 quater c.p. assumono una specifica rilevanza penale l’organizzazione e la promozione di spettacoli o manifestazioni “che comportino sevizie o strazio per gli animali“.
Tuttavia l’introduzione di queste fattispecie, sempre a opera della L. 189/2004, è stata accompagnata dal contestuale inserimento dell’art. 19-ter nelle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale, il quale ci ricorda che “Le disposizioni del titolo IX bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente”.
Ciò non significa però che chi opera in questi settori goda di una sorta di immunità rispetto all’applicazione delle norme incriminatrici analizzate: la questione è stata affrontata anche di recente in occasione del famoso caso Green Hill e la Corte di Cassazione, rispolverando una precedente pronuncia del 2012 ha statuito che “la scriminante trova il proprio limite applicativo nella funzionalità della condotta posta in essere rispetto agli scopi e alle ragioni posti a base della normativa speciale: dette attività, segnatamente contemplate dalla suddetta norma di coordinamento, devono essere svolte, per potere essere esentate da sanzione penale, nell’ambito della normativa speciale stessa” precisando che sia necessario accertare “se le condotte si siano svolte nei limiti consentiti o imposti dalla norma speciale individuata” (Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 10163 del 06.03.2018).
Detto ciò, sento di non condividere minimamente l’accusa rivolta al legislatore di avere operato scelte poco coraggiose, rinunciando a garantire in via diretta la vita e la salute dell’animale, ma subordinando il riconoscimento di tali diritti alla percezione che l’uomo ha delle sue esigenze e ponendo, a tutela di interessi economici, una serie di limitazioni al riconoscimento della responsabilità penale. A parte l’insormontabile difficoltà di instaurare una trattativa proficua con i destinatari della tutela giuridica al fine di individuare il limite tra il giusto e lo sbagliato, ritengo che le norme introdotte nel titolo IX bis del libro II del codice penale rappresentino una presa di coscienza circa la contraddittorietà del contesto culturale in cui viviamo. Del resto, in una società dove viene reputato normale selezionare le razze di animali da compagnia (negando loro ab ovo il diritto alla libertà sessuale) e deplorata la selezione delle ‘etnie’ tra uomini (o anche solo i matrimoni di interesse organizzati tra famiglie), nella stessa società dove viene ritenuta etica l’eutanasia praticata a un animale sofferente, ma è penalmente perseguita quella compiuta sull’uomo, penso sia in primo luogo opportuno individuare la scala di valori che si vuole percorrere e prendere atto del fatto che fino a oggi siano stati utilizzati due pesi e due misure, anziché puntare il dito su chi, nel dubbio, si sia sforzato di trovare un punto d’equilibrio.