Non sono infrequenti gli incidenti stradali occasionati da animali selvatici o da cani randagi che attraversano le carreggiate collidendo con i veicoli in circolazione e neppure i casi affrontati dalla giurisprudenza di legittimità sono pochi. Di seguito viene offerta una breve disamina delle pronunce più recenti in materia, per comprendere gli aspetti giuridici fondamentali da considerare nel caso volessimo formulare una domanda di risarcimento per danni o lesioni subite a seguito di sinistri coinvolgenti la fauna locale.
Per ragioni di ordine logico è indispensabile individuare in primo luogo il soggetto passivo dell’eventuale azione risarcitoria. In linea teorica per gli incidenti coinvolgenti animali selvatici potrebbe ravvisarsi una responsabilità di default in capo alle Regioni, facendo riferimento alla Legge 11.02.1992 n. 157 recante Norme per la protezione della fauna selvatica, che si è sostituita alla previgente Legge 27.12.1977 n. 968 abrogandola. L’art. 1 c. 3 L. 157/1992 attribuisce infatti alle Regioni e alle Province Autonome il compito di emanare “norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica”, implicando la responsabilità delle stesse nel caso in cui non siano state poste in essere misure adeguate per prevenire i rischi collegati alla presenza della fauna. Nel contempo, in diverse pronunce di legittimità è stato chiarito che la responsabilità per i danni arrecati dalla fauna selvatica non possa essere automaticamente desunta dalla competenza meramente normativa attribuita alle Regioni dalla suddetta legge, ma vada addebitata “agli enti a cui spettino le relative competenze amministrative e gestionali ad adottare le misure ritenute di volta in volta idonee a prevenire i rischi di danni”. Si cita al riguardo Cass Civ. Sez. VI Ord. n. 12944 del 23.06.2015 che, richiamandosi all’interpretazione normativa fornita da Cass. Civ. Sez. III Sent. n. 21395 del 10.10.2014, ha ravvisato l’esclusiva responsabilità della Provincia per un sinistro provocato da un cinghiale su una strada provinciale priva dell’apposita segnaletica, avendo la Regione dimostrato di avere liquidato in favore delle amministrazioni provinciali una somma per l’acquisto di protezioni e segnalazioni da posizionarsi nei siti a rischio. Pertanto, a seconda dei casi, dei danni riportati risponderà la Regione oppure, in presenza di delega o di concessione, la Città Metropolitana, la Provincia, l’Ente Parco, la Federazione o l’Associazione, a condizione “che sia conferita al gestore autonomia gestionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all’esercizio dell’attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni” (Cass. Civ. sez. III Sent. n. 80 del 08.01.2010).
Ovviamente, nella diversa ipotesi in cui lo scontro sia causato da un animale randagio, occorre fare riferimento all’ente pubblico preposto al controllo del fenomeno del randagismo sul territorio (si veda, ad es. Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 18954 del 31.07.2017): la Legge quadro 14.08.1991 n. 281 ripartisce le funzioni in materia di prevenzione del randagismo tra Comuni e Regioni imponendo alle Regioni l’adozione di un programma di prevenzione del randagismo (art. 3) e ai Comuni – anche tra loro associati – l’attuazione di piani di controllo delle nascite, nonché la gestione dei canili e dei gattili (art. 4), senza tuttavia indicare direttamente a quale ente spetti il compito di catturare e custodire i cani randagi, che dovrà essere ricercato, caso per caso, nella normativa regionale (come evidenziato da Cass. Civ. Sez. III Sent. n. 15167 del 20.06.2017).
Individuato il destinatario della richiesta risarcitoria, appare poi opportuno inquadrare la fonte normativa della responsabilità civilistica da fare valere in giudizio: sia nel caso in cui il danno venga cagionato da animali selvatici, sia nel caso in cui venga provocato da randagi occorre fare riferimento alla generale responsabilità da fatto illecito delineata dall’art. 2043 c.c. e non a quella di cui all’art. 2052 c.c., in quanto l’attribuzione di una responsabilità oggettiva presupporrebbe un’irragionevole equiparazione degli enti locali ai proprietari o ai detentori di animali. In quest’ottica Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 18954 del 31.07.2017 ha chiarito che “la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui all’art. 2052 c.c. che non sono applicabili – così come pacificamente si ritiene per l’analoga fattispecie dei danni causati dagli animali selvatici (ex plurimis Cass. 25 novembre 2005 n. 24895; 24 aprile 2014 n. 9276; 10 novembre 2015 n. 22886) – in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte degli enti pubblici preposti alla gestione del fenomeno del randagismo”. Anche più di recente, con riferimento ai danni provocati da animali randagi, Cass. Civ. sez. VI Ord. n. 11591 del 14.05.2018 ha ritenuto che “ai fini dell’affermazione della responsabilità degli enti evocati in giudizio è necessaria la precisa individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile agli stessi” specificando che “tale onere spetta all’attore danneggiato, in base alle regole generali e consiste nella allegazione e successiva dimostrazione della condotta obbligatoria esigibile dall’ente (…) e della riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria e ciò in base ai principi sulla causalità omissiva”. Conseguentemente, il danneggiato deve, con ovvie difficoltà, dimostrare che la cattura e/o la custodia dell’animale coinvolto nel sinistro sarebbe stata possibile ed esigibile e che l’omissione di tali condotte abbia costituito un comportamento colposo dell’ente preposto: l’onere probatorio sarà verosimilmente soddisfatto attraverso la prova di precedenti segnalazioni circa la presenza dell’animale in quel luogo, che avrebbero imposto l’attivazione dell’ente.
Tuttavia, per la stessa corte di legittimità, se lo scontro con l’animale selvatico si verifica lungo un’autostrada assume rilevanza il rapporto di custodia in capo alla società concessionaria dell’autostrada in ragione dei poteri effettivi di disponibilità e controllo che le sono attribuiti. Si richiama, a titolo esemplificativo, Cass Civ. Sez. III Sent. n. 11785 del 12.05.2017 che ha ravvisato una responsabilità oggettiva del gestore ai sensi dell’art. 2051 c.c. sul presupposto che la stessa “trova fondamento nell’esigenza che chi trae profitto dalla cosa assuma anche il rischio per i danni che la cosa medesima possa arrecare a terzi“. In tale occasione la Corte, richiamandosi al principio cuius commoda eius et incommoda, ha genericamente affermato che “non si deve parlare di ‘colpa nella custodia’ atteso che il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente se la cosa ha provocato danni a terzi, ma di ‘rischio da custodia’, in quanto la responsabilità è imputata a colui che, avendo di fatto il potere di effettivo controllo e disponibilità della cosa, è chiamato anche a sopportarne gli incommoda”. Nella sentenza viene poi sostenuto che “l’accertamento del nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso prescinde dall’accertamento dell’intrinseca pericolosità della cosa e richiede soltanto che il danno derivi da essa costituendo l’esplicazione della sua concreta potenzialità dannosa. Il nesso pertanto sussiste sia in relazione ai danni verificatisi per effetto della connaturale forza dinamica della cosa sia in relazione a quelli determinatisi per effetto dell’insorgenza in essa di un processo dannoso provocato da agenti esterni”. A parere di chi scrive trattasi di orientamento difficilmente condivisibile, seppure al momento dominante. Nulla quaestio se si trattasse, per esempio, di un sinistro occasionato da una buca venuta a crearsi nell’asfalto a causa di forti perturbazioni o dal passaggio di mezzi particolarmente pesanti: in questa ipotesi il danno deriverebbe effettivamente dalla cosa in custodia dalla quale il gestore trae vantaggio e sarebbe giusto escludere la responsabilità solo per caso fortuito. Ma per estendere la responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2051 c.c. agli animali che fanno ingresso nell’autostrada dovrebbe irrealisticamente considerarsi la fauna selvatica (che, come si è detto sopra, non è tecnicamente soggetta a custodia) alla stregua di pertinenze della cosa custodita (ossia dell’autostrada), seppure la presenza di animali nelle aree sottoposte a concessione sia meramente eventuale e occasionale (e manchi quindi il vincolo di destinazione richiesto dall’art. 817 c.c.): ne deriva che le concessionarie non potrebbero trarre alcun commoda che giustificherebbe l’incommoda. L’individuazione di una responsabilità oggettiva da cosa in custodia è ancora più inspiegabile se si considera che alle società concessionarie di autostrade non sia attribuito alcun potere gestorio della fauna selvatica o randagia, la cui conservazione e contenimento, come si è visto, è prerogativa della Regione e dei Comuni e/o degli enti delegati. Anche da un punto di vista fattuale non è la struttura autostradale in sé a rappresentare la fonte del rischio, quanto piuttosto un elemento esterno a essa, ossia l’animale, la cui presenza può comunque essere evitata con adeguati accorgimenti (per esempio mediante l’impiego di reti di recinzione). Non sarebbe dunque più corretto ravvisare una responsabilità di tipo contrattuale in capo alla società che gestisce l’autostrada, quale soggetto tenuto a garantire la sicurezza delle tratte di sua competenza con conseguente applicazione di quanto previsto dall’art. 1218 c.c.? Dopotutto, il sorgere del vincolo a favore di chi si avvale del servizio potrebbe comodamente coincidere con il ritiro del ticket, oppure, per i tratti di strada non sottoposti a pedaggio, con l’accesso (in questo secondo e più infrequente caso assumerebbe rilevanza la responsabilità da contatto sociale che trarrebbe a sua volta origine dal rapporto contrattuale esistente tra il concessionario e il concedente).