0. Premessa
2. Ipotesi di creazione giurisprudenziale
0. PREMESSA
Il diritto di percepire un assegno periodico divorzile non sorge automaticamente con lo scioglimento del matrimonio, ma ha natura meramente eventuale: nel corso del giudizio volto a eliminare il vincolo coniugale il tribunale svolge un’indagine comparativa tra i redditi delle parti per valutare se una di loro sia priva di ‘mezzi adeguati’ e comunque non possa ‘procurarseli per ragioni oggettive’ (art. 5 c. 6 Legge 1 dicembre 1970 n. 898). Si tratta con tutta evidenza di concetti elastici, tant’è che, per determinare la ricorrenza di questi presupposti, la legge impone di considerare congiuntamente diversi elementi, quali le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico apportato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e proprio, nonché l’entità dei redditi e la durata del matrimonio.
In sostanza, all’organo giudicante spetta il compito di verificare se lo scioglimento del vincolo matrimoniale abbia creato una situazione di disparità economica tra le parti, mentre la sola assenza di uno ‘stato di bisogno’ non sarebbe idonea a escludere il diritto al contributo, stante la natura c.d. assistenziale-compensativa e non meramente alimentare dell’assegno. La giurisprudenza ha infatti evidenziato che il principio di solidarietà posto alla base dell’istituto “impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi e all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente” (Cass. Civ. S.U. sent. n. 18287 del 11.07.2018). Ma in quali ipotesi questa obbligazione viene meno?
1. CASI PREVISTI DALLA LEGGE
La legge menziona espressamente una sola circostanza sopravvenuta idonea a escludere il diritto a percepire l’assegno divorzile: l’art. 5 c. 10 L. 898/1970 prevede infatti che “l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze”. In questo caso l’obbligazione pecuniaria si estingue ex lege, sicché i pagamenti possono essere interrotti senza che occorrano ulteriori accertamenti giudiziali. Tuttavia la giurisprudenza, per adeguarsi alle esigenze del mutato contesto sociale, ha introdotto in via interpretativa un’ulteriore condizione risolutiva, stabilendo che anche la creazione di una nuova famiglia di fatto da parte del beneficiario possa comportare la revoca dell’assegno divorzile.
2. IPOTESI DI CREAZIONE GIURISPRUDENZIALE
Nell’ultimo decennio si sono susseguite numerose pronunce che hanno tratteggiato i presupposti necessari per ottenere la revoca dell’assegno in presenza di una convivenza more uxorio: è imprescindibile che la coabitazione con il nuovo partner sia stabile e continuativa e che la coppia abbia elaborato un progetto e un modello di vita comune “analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio” (Cass. Civ. Sez. I Sent. n. 6855 del 03.04.2015).
La corte di legittimità ha altresì precisato che l’instaurazione di una convivenza stabile e duratura comporti la cessazione del diritto all’assegno indipendentemente dalla minore disponibilità economica del nuovo partner rispetto a quella del coniuge obbligato (Cass. Civ. Sez. VI Ord. n. 2732 del 05.02.2018) e ha coerentemente confermato che il relativo diritto debba considerarsi estinto, anziché temporaneamente sospeso: “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso” (Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 5974 del 28.02.2019 e, nello stesso senso Cass. Civ. Sez. I Sent. n. 2466 del 08.02.2016).
3. NORMA DI CHIUSURA
In ogni caso, anche in assenza di elementi che consentano di affermare e dimostrare che il beneficiario dell’assegno abbia costituito un nuovo nucleo familiare, possono assumere rilevanza circostanze diverse e ulteriori ai fini della riduzione o della revoca dell’assegno divorzile: l’art. 9 L. 898/1970, prevede che, qualora sopravvengano ‘giustificati motivi‘ dopo la sentenza che ha pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale possa disporre su istanza di parte la revisione delle disposizioni relative “alla misura e alle modalità” del contributo.
Tali giustificati motivi si individuano generalmente in un significativo miglioramento delle condizioni reddituali del beneficiario o in un rilevante peggioramento della situazione economica dell’obbligato e, seppure dalla formulazione della norma citata sembrerebbe potersi ambire solamente a una riduzione dell’importo periodicamente dovuto o a una diversa modalità di soddisfazione dell‘obbligazione, la giurisprudenza ha ammesso che, in occasione del ricorso per la revisione dell’assegno, oggetto della domanda possa altresì essere l’accertamento negativo circa l’attualità dello stesso diritto al contributo. Sul punto è stato infatti precisato che: “la conferma dell’an, in un procedimento di revisione L. 898 del 1970, ex art. 9 (…) suppone comunque la esistenza del diritto ai sensi della L. 898 del 1970 art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10; così che, per poter confermare la debenza (an debeatur) dell’assegno divorzile, occorre verificare, con riferimento alla domanda della sua esclusione, se sussista la lamentata mancanza di ‘mezzi adeguati’ o comunque l’impossibilità ‘di procurarseli per ragioni oggettive’, senza condurre l’indagine giudiziale con riguardo ad un ‘tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio’” (Cass. Civ. Sent. n. 15481 del 22.06.2017).