Le interferenze della responsabilità penale nel diritto alla libera circolazione

1. ESPIAZIONE DELLA PENA E RILASCIO DEL PASSAPORTO

2. CONDANNA A PENA SOSPESA

3. MISURE DI SICUREZZA E MISURE DI PREVENZIONE

4. SOPRAVVENUTA IRREVOCABILITÀ DELLA SENTENZA

5. ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO E RIFUGIATI POLITICI

6. CARTA DI IDENTITÀ E LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE

1. ESPIAZIONE DELLA PENA E RILASCIO DEL PASSAPORTO

Ti è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari e temi che un procedimento penale a tuo carico ti impedisca di ottenere il rilascio o il rinnovo del passaporto? Non preoccuparti. Per ora. La Legge 21 novembre 1967 n. 1185 elenca all’articolo 3 le situazioni preclusive al rilascio del passaporto e, in linea con la presunzione di non colpevolezza che accompagna l’imputato fino all’ultimo grado di giudizio, tra queste non rientra la semplice pendenza di un processo penale: la norma nega infatti la possibilità di ottenere il documento in questione – e dunque di recarsi all’estero – quando la pena inflitta all’esito del giudizio deve essere espiata (art. 3 lett. D), perciò non prima che la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile. Oltretutto, se il passaporto non può in alcun modo essere concesso a chi debba scontare una pena restrittiva della libertà personale, il condannato che sia solamente tenuto a pagare una multa o un’ammenda ha la possibilità di rivolgersi al giudice dell’esecuzione per ottenere il nulla osta, purché la pena pecuniaria convertita in detentiva non superi il limite di un mese di reclusione, o di due mesi di arresto (e sempre che la conversione non sia stata effettivamente disposta).

2. CONDANNA A PENA SOSPESA

La giurisprudenza, anche recente, ha ritenuto che i limiti al rilascio del passaporto dettati dall’art. 3 lett. D L. 1185/1967 non vengano meno nel caso in cui la pena inflitta sia stata condizionalmente sospesa, ma il reato non si sia ancora estinto ai sensi dell’art. 167 c.p., e ciò a prescindere dalla subordinazione del beneficio della sospensione all’adempimento degli obblighi di cui all’art. 165 c.p. Come mai? Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo ha esaurientemente osservato al riguardo: “la sospensione condizionale della pena non esclude che, fino alla declaratoria di estinzione del reato, esista in ogni caso la ipotetica necessità di rendere effettiva ed agevolmente eseguibile la condanna per il soggetto che l’abbia subita, impedendo la possibilità di espatrio in paesi con diversi ed autonomi regimi di natura processual penalistica, tali da non consentire di riconoscere una piena identità nei sistemi di espiazione della pena” (TAR Abruzzo Ordinanza del 07.12.2016 pubblicata il 09.12.2016 n. 537/2016 RG).

3. MISURE DI SICUREZZA E MISURE DI PREVENZIONE

Il legislatore non ha poi trascurato di considerare i soggetti che, per le loro particolari condizioni, non abbiano condanne da espiare, ma siano comunque socialmente pericolosi, oppure rappresentino un pericolo per la sicurezza pubblica: ai sensi dell’art. 3 lett. E L. 1185/1967 il passaporto è negato anche a coloro che siano sottoposti a una misura di sicurezza detentiva, ovvero a una misura di prevenzione “prevista dagli articoli 3 e seguenti della legge 27 dicembre 1956, n. 1423”. Stante l’intervenuta abrogazione della legge citata in materia di misure di prevenzione, il Consiglio di Stato ha chiarito che il rinvio vada inteso al vigente Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159, che ha effettivamente sostituito la precedente normativa (Cons. Stato Parere n. 278 del 25.01.2013). Valorizzando la tassatività delle situazioni elencate all’art. 3 L. 1185/1967 la giurisprudenza ha negato che si possa legittimamente ritirare il passaporto alla persona sottoposta agli arresti domiciliari, in quanto l’assimilazione di una misura cautelare personale a una misura di prevenzione o a una misura di sicurezza rappresenterebbe una violazione di legge (TAR Calabria, sentenza del 21.09.2016 pubblicata il 28.09.2016 n. 606/2016 RG, che ha annullato il decreto n. 2818/2016 adottato dal Questore di Reggio Calabria).

4. SOPRAVVENUTA IRREVOCABILITÀ DELLA SENTENZA

E se, successivamente al rilascio del passaporto, intervenisse una condanna definitiva? Nel caso in cui le circostanze ostative al rilascio sopravvengano, il passaporto deve essere ritirato (art. 12 L. 1185/1967). Analogamente, sulla carta di identità deve essere annotata l’inibitoria all’espatrio, consistente nella dicitura “documento non valido ai fini dell’espatrio”: del resto, per ottenere una carta di identità utilizzabile al di fuori dei confini nazionali è comunque preventivamente necessario dichiarare di non trovarsi in alcuna delle condizioni ostative al rilascio del passaporto di cui all’art. 3 lett. B, D, E, G (art. 1 e 2 D.P.R. 6 agosto 1974 n. 649). Il ritiro del passaporto è stato ritenuto giustificato anche durante l’affidamento in prova al servizio sociale, in quanto, trattandosi di misura alternativa alla detenzione che comporta restrizioni alla libertà personale, consisterebbe in una mera modalità di esecuzione della pena, “nel senso che viene sostituito a quello in istituto, il trattamento fuori dell’istituto, perché ritenuto più idoneo, sulla base dell’osservazione, al raggiungimento delle finalità di prevenzione e di emenda proprie della pena“, che resterebbe peraltro soggetta a revoca nell’ipotesi in cui il condannato non rispetti le prescrizioni impostegli (Cass. Pen. Sez. I Sent. n. 1610 del 14.01.2015).

5. ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO E RIFUGIATI POLITICI

Va opportunamente precisato che le norme sopra analizzate si applicano ugualmente ai cittadini italiani già residenti all’estero, ai quali è comunque precluso il rinnovo del passaporto laddove debba essere data esecuzione a una pena ostativa al rilascio del documento (Cass. Pen. Sez. I Sent. n. 16659 del 21.04.2015). La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non ravvisa alcuna violazione dei libertà fondamentali nel divieto all’espatrio imposto dallo Stato per finalità sanzionatorie: al contrario, ha persino confermato la possibilità di negare il rinnovo del passaporto durante la pendenza di un procedimento penale a carico del richiedente residente all’estero – e quindi prima dell’accertamento della responsabilità dell’imputato – reputando un provvedimento in tal senso “proporzionato all’obiettivo perseguito” (Sentenza n. 41119 del 26.04.2011 M. contro Svizzera).

Prevalgono invece le norme di diritto internazionale nel caso in cui il richiedente sia un rifugiato politico: infatti la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati (ratificata in Italia il 15.11.1954) stabilisce all’art. 28 che “gli Stati Contraenti rilasciano ai rifugiati che risiedono regolarmente sul loro territorio titoli di viaggio che permettano loro di viaggiare fuori di tale territorio, sempreché non vi si oppongano motivi impellenti di sicurezza nazionale o d’ordine pubblico”. Parallelamente, il Decreto Legislativo 19 novembre 2007 n. 251 prevede all’art. 24 c. 3 che il rifiuto alla richiesta di ottenimento del titolo di viaggio o il ritiro dello stesso possano giustificarsi solamente in presenza di “gravissimi motivi attinenti la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico”: deve concludersi che il rifugiato politico non possa ritenersi assoggettato alle cause ostative al rilascio del passaporto previste in via generale dall’art. 3 L. 1185/1967 (in questo senso, TAR Toscana Sentenza n. 34 del 09.01.2019).

6. CARTA DI IDENTITÀ E LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE

Ci si è chiesti se l’annotazione “documento non valido ai fini dell’espatrio” apposta sulla carta di identità assuma significato solamente qualora il suo titolare voglia fare ingresso negli Stati extra UE, oppure limiti lo spostamento del cittadino italiano anche verso i Paesi comunitari, e se, in questo secondo caso, non sia ravvisabile una violazione del diritto alla libera circolazione sancito dalla Direttiva 29 aprile 2004 n. 2004/38/CE. Con sentenza del 14.07.2015 n. 9039/2014 RG il Consiglio di Stato ha osservato che l’art. 27 della Direttiva preveda effettivamente al primo comma che “gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica”, precisando altresì al secondo comma che “la sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti”. Ciononostante il Collegio ha ritenuto tale norma non dirimente, in quanto riferita “alla potestà discrezionale della P.A. di uno Stato membro, di disporre limiti alla libertà di circolazione tra un Paese e l’altro della U.E. con un provvedimento amministrativo ad hoc e ad personam, in funzione preventiva, per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica“, constatando che nulla sia espressamente previsto circa la possibilità o meno di stabilire in via generale restrizioni alla libertà personale preordinate all’esecuzione di una pena inflitta mediante sentenza passata in giudicato e che quindi in questo ambito gli Stati non siano vincolati alla normativa comunitaria. Il Consiglio di Stato ha dunque argomentato che “se il principio della libertà di circolazione può essere sacrificato a giudizio discrezionale di un’autorità amministrativa allo scopo di tutelare preventivamente la pubblica sicurezza, a maggior ragione la deroga si deve ritenere consentita se si presenta come una implicazione naturale – ovvero imposta ope legis – dell’esecuzione di una condanna penale, passata in giudicato, a una pena limitativa della libertà personale”.

A prescindere dalle considerazioni svolte dalla giurisprudenza, può agevolmente rilevarsi che l’art. 27 Dir. 2004/38/CE è inserito nel Capo VI della Direttiva, rubricato “Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica“: da ciò deve dedursi che le limitazioni in esso contemplate siano riferite alla sola possibilità di impedire l’ingresso del cittadino nello Stato di destinazione e non concernano invece il suo espatrio, situazione ben distinta e regolata da una diversa norma. L’art. 4 Dir. 2004/38/CE, rubricato appunto “Diritto di uscita“, riconosce infatti al primo comma il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro a “ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità“, senza però sancire l’esistenza di un diritto insindacabile al conseguimento dei documenti in questione: al contrario, il terzo comma conferma che, tanto la carta d’identità, quanto il passaporto, siano rilasciati o rinnovati dagli Stati membri “ai sensi della legislazione nazionale“. Deve quindi concludersi che ciascuno Stato sia libero nella individuazione dei requisiti necessari per l’ottenimento dei documenti di viaggio, così come ogni Stato è libero di ammettere lo straniero che ne faccia richiesta a prescindere dal possesso di un documento valido e dalla volontà dello Stato di provenienza: è doveroso ricordare, però, che l’allontanamento dal territorio nazionale senza passaporto o documento equipollente costituisce fatto penalmente rilevante ai sensi dell’art. 24 L. 1185/1967.