razzismo reato

Razzismo percepito: dove si arresta l’interesse punitivo dello Stato

Sei un Rottweiler e il Dalmata del vicino proprio non puoi soffrirlo? Gli hai abbaiato di tornarsene in Croazia con tutte le sue macchioline? Sei un orso bruno eurasiatico e ti sei azzuffato con un orso bruno marsicano perché non condividi le sue manie vegane? Hai paura che adesso per punirti ti rinchiudano nello zoo?

1. ORIGINE DELLA TUTELA ANTIDISCRIMINATORIA

2. DA CONDOTTA VINCOLATA A INDETERMINATA

3. RIDEFINIZIONE DEL REATO DI OPINIONE

4. ULTIMI RITOCCHI NORMATIVI

5. INDIVIDUAZIONE DELL’ANIMUS

6. L’INTERESSE PUBBLICISTICO

7. LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

1. ORIGINE DELLA TUTELA ANTIDISCRIMINATORIA

Il razzismo è un tema affrontato in diversi rami del diritto interno, incluso quello penalistico, e il recepimento della Convenzione di New York del 1966 da parte degli Stati firmatari è emblematica dell’impegno assunto a livello internazionale nella lotta alla discriminazione razziale. Questo trattato internazionale era stato ratificato in Italia con la Legge 13 ottobre 1975 n. 654, il cui articolo 3 aveva introdotto un delitto volto a punire condotte eterogenee, quali la diffusione di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale, l’incitazione alla discriminazione e alla violenza e lo stesso uso di violenza nei confronti di appartenenti a gruppi nazionali o etnici o razziali, nonché la partecipazione a organizzazioni finalizzate all’incitamento discriminatorio.

A distanza di breve tempo dall’entrata in vigore della L. n. 654/1975, l’art. 13 della Legge n. 903/1977 aveva aggiunto all’art. 15 dello Statuto dei lavoratori il divieto per il datore di lavoro di discriminare, mediante patti o atti, in base alla razza.

2. DA CONDOTTA VINCOLATA A INDETERMINATA

Poi, con il Decreto Legge n. 122/1993 conv. in Legge n. 205/1993 (c.d. Legge Mancino) il legislatore era intervenuto sull’art. 3 della L. n. 654/1975 rendendo sanzionabili le suindicate condotte anche se poste in essere per motivi religiosi e scegliendo inoltre di incriminare persino la generica commissione diatti di discriminazione: il reato diventava dunque a forma libera. Per di più la novella introduceva una circostanza aggravante comune a effetto speciale da applicarsi ai reati commessi per spirito discriminatorio. La stessa legge attribuiva altresì al giudice la facoltà di corredare la pena principale con sanzioni accessorie variegate e aggiungeva ai fatti perseguibili l’ostentazione, nell’ambito di riunioni pubbliche, di simboli riferibili a gruppi portatori di ideologie fondate sulla discriminazione.

3. RIDEFINIZIONE DEL REATO DI OPINIONE

Presto si avvertì la necessità di apportare ulteriori modifiche volte a meglio definire lo spettro delle condotte sanzionabili: con la Legge n. 85/2006 (incentrata sui reati di opinione) veniva riscritto l’art. 3 L. 654/1975, affinché la norma penale non incriminasse più ladiffusionedelle ideologie ripudiate, bensì la loropropagandae allo stesso modo punisse laistigazioneanziché il sempliceincitamentoa commettere atti di discriminazione inerenti alla razza, et cetera. Questa riforma aveva però ricevuto un’accoglienza tiepida dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la diversa terminologia adottata non avrebbe potuto ridurre il raggio d’azione della norma penale, che contenutisticamente avrebbe dunque dovuto considerarsi invariata (si veda, per esempio Cass. Pen. Sez. I Sent. n. 47894 del 11.12.2012). Solo negli ultimi anni è stato attribuito un significato concreto all’iniziativa a suo tempo assunta dal legislatore, a cui va il merito di avere evitato un inaridimento del diritto alla libera manifestazione del pensiero, stante la sua rilevanza costituzionale.

4. ULTIMI RITOCCHI NORMATIVI

Più di recente, la Legge n. 115/2016 ha inserito un comma 3-bis all’art. 3 L. n. 654/1975, introducendo così una pena più grave per le condotte di propaganda e istigazione fondate su teorie negazioniste della shoah o dei crimini di genocidio, di guerra e in generale contro l’umanità (sempre che da esse derivi un concreto pericolo di diffusione). La norma è stata subito ritoccata dalla Legge n. 167/2017, la quale ha attribuito uguale riprovevolezza alle ideologie che presuppongono laminimizzazione in modo graveo l’apologia degli stessi accadimenti storici.

Il tortuoso percorso normativo parrebbe essersi concluso – o forse è solo in una fase di quiescenza – con il Decreto Legislativo del 1 marzo 2018 n. 21 che, per mera finalità compilativa – più o meno raggiunta – ha abrogato l’art. 3 L. n. 654/1975, trasfondendo il suo contenuto nel nuovo art. 604-bis c.p. e riproponendo l’aggravante comune riguardante i reati commessi a scopo discriminatorio nel successivo art. 604-ter c.p.

5. INDIVIDUAZIONE DELL’ANIMUS

Per quanto concerne l’aggravante, anche dopo il riassetto normativo è stato confermato che debba ricorrere “non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente(Cass. Pen. Sez. V Sent. n. 307 del 07.01.2021). Conseguentemente, l’art. 604-ter c.p. viene applicato ogni qual volta la condotta punibile sia accompagnata da epiteti di matrice razzista.

6. L’INTERESSE PUBBLICISTICO

L’attuale formulazione del ‘delitto contro l’eguaglianzadi cui all’art. 604-bis c.p. non ha però consentito di superare alcuni dubbi interpretativi maturati nel tempo, e ci si riferisce in particolar modo all’incriminazione di chi ‘istiga a commettere o commette atti di discriminazionedi cui alla lettera a), espressione la cui genericità sembra assecondare una deriva paternalistica incompatibile col nostro sistema costituzionale. Appare quindi opportuno attenersi alla definizione fornita dall’art. 1 della Convenzione di New York, stando alla quale “discriminare significa porre in essere un comportamento che direttamente o indirettamente comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza ecc. allo scopo di distruggere o compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti della vita pubblica(così suggeriva già Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 13234 del 28.03.2008).

7. LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

Non è pertanto contestato che, ai fini della configurazione del delitto di cui all’art. 604-bis c.p., debba realizzarsi “un quid pluris rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali(Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 33179 del 31.07.2013, Cass. Pen. Sez. V Sent. n. 31655 del 24.01.2001) e che “l’odio razziale o etnico è integrato non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza(Cass. Pen. Sez. I Sent. n. 1602 del 16.01.2020). Ciononostante, per evitare di incorrere in eccessi punitivi derivanti da interpretazioni analogiche in malam partem, la corte di legittimità ha dovuto in più occasioni precisare l’ovvio, ossia che “la discriminazione per motivi razziali è quella fondata sulla qualità personale del soggetto, non invece sui suoi comportamenti, e che la singola condotta vada contestualizzata in modo da assicurare il contemperamento dei principi di pari dignità e di non discriminazione con quello di libertà di espressione(Cass. Pen. Sez. VI Sent. n. 33414 del 26.11.2020).