1. L’abrogazione dell’art. 485 c.p.
3. La pronuncia delle Sezioni Unite
1. L’ABROGAZIONE DELL’ART. 485 C.P.
È ancora penalmente rilevante l’utilizzo di assegni falsi? Il problema si è posto a seguito dell’abrogazione del reato di falsità in scrittura privata a opera del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016 n. 7, entrato in vigore il 06.02.2016: l’art. 485 c.p. puniva chi, avendo formato una scrittura privata falsa o avendone alterata una vera, per procurare ad altri un danno o per trarre un vantaggio, anche nell’interesse di terzi, avesse utilizzato o avesse lasciato utilizzare tale documento e veniva ricondotto a tale ipotesi criminosa anche l’impiego di assegni falsi non trasferibili. Di converso, l’uso di assegni falsi privi della clausola di non trasferibilità comportava l’applicazione dell’art. 491 c.p., il quale sanzionava con una pena maggiore la condotta delineata dall’art. 485 c.p. nel caso in cui la falsificazione riguardasse “un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore“.
2. IL NOVELLATO ART. 491 C.P.
Il D.Lgs. 7/2016 ha rimodellato anche l’art. 491 c.p.: se prima svolgeva una funzione ancillare rispetto all’art. 485 c.p. (che come si è visto descriveva e delimitava la condotta tipica), sanzionando con un periodo di reclusione maggiore il fatto concernente i ‘Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena‘ (così era rubricato), a seguito delle modifiche apportate dalla riforma la norma incriminatrice punisce autonomamente la falsità di un testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, non potendosi ovviamente più ipotizzare un richiamo alla disposizione abrogata. Con particolare riferimento al titolo di credito non viene però fornita specificazione alcuna circa la tipologia di girata rilevante ai fini della consumazione del reato, sicché parte della giurisprudenza (come Cass. Pen. Sez. II Sent. n. 13086 del 21.03.2018) ha ritenuto che la norma, nella sua attuale formulazione, consenta di punire anche l’uso dell’assegno non trasferibile, dovendo comunque effettuarsi la c.d. girata impropria per permettere al banchiere di incassare il titolo.
3. LA PRONUNCIA DELLE SEZIONI UNITE
Chiamate a sciogliere il dubbio, le Sezioni Unite hanno rinvenuto la soluzione nella legge delega di riforma del sistema sanzionatorio, ossia la L. 28 aprile 2014 n. 67, con la quale il Governo era stato incaricato di procedere all’abrogazione di specifici reati, tra cui i “delitti di cui al libro secondo, titolo VII, capo III, limitatamente alle condotte relative a scritture private, ad esclusione delle fattispecie previste all’articolo 491” (art. 2 c. 3 lett. A n. 1 L. 67/2014), evidenziando che la volontà del legislatore fosse proprio quella di depenalizzare i delitti di falso in atti privati, fatta eccezione per le ipotesi già raggruppate nell’art. 491 c.p., in quanto reputate più gravi (Cass. Pen. S.U. Sent. n. 40256 del 10.09.2018). Deve dunque affermarsi che, allo stato attuale, abbia perso rilevanza penale l’impiego di un assegno falso non trasferibile (anche per chi sia estraneo alla falsificazione, stante l’abrogazione del secondo comma dell’art. 489 c.p.) e che tale condotta sia soggetta alla sola sanzione pecuniaria civile prevista dall’art. 3 c. 4 lett. A e D del D.Lgs. 7/2016, a condizione che sia arrecato un danno a terzi. Questa interpretazione sarebbe del resto coerente con la funzione attribuita alla girata dall’art. 2011 c.c., ai sensi del quale “la girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo”, poiché quella disposta a favore del banchiere per l’incasso implica un semplice mandato a riscuotere, e non incide sulla titolarità del diritto di credito.
Sembra poi che la portata sanzionatoria dell’art. 491 c.p. sia stata comunque ampliata rispetto al passato: senza dilungarsi su possibili eccessi di delega, nella stessa sentenza le Sezioni Unite hanno avvertito la necessità di precisare che “contrariamente a quanto previsto prima della riforma, il primo comma della norma vigente punisce la sola falsificazione (intesa nelle sue tradizionali forme della alterazione o della contraffazione) a prescindere dall’uso del documento non genuino, che ormai rileva solo nel comma 2, in riferimento alla diversa condotta di colui che non ha partecipato alla falsità”.
4. ASPETTI APPLICATIVI
Non può in ogni caso trascurarsi che, all’atto pratico, la normativa antiriciclaggio vigente scoraggi la commissione di fatti riconducibili al reato di cui all’art. 491 c.p., con specifico riferimento alla falsificazione di assegni. Nello specifico, l’art. 49 c. 4 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007 n. 231 stabilisce che “i moduli di assegni bancari e postali sono rilasciati dalle banche e da Poste Italiane S.p.A. muniti della clausola di non trasferibilità“, pur ammettendo la facoltà di richiedere per iscritto i suddetti moduli in forma libera: è palese dunque che l’utilizzo di un assegno privo di tale clausola non passerebbe inosservato.
Peraltro, dalla falsificazione di un assegno trasferibile potrebbe trarsi un profitto estremamente limitato, dal momento che la somma da esso portata dovrebbe essere inferiore a euro 1.000, come prescrive l’art. 49 c. 5 D.Lgs. 231/2007 (a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Legge 06 dicembre 2011 n. 201 conv. in Legge 22 dicembre 2011 n. 214). Dunque, chi correrebbe il rischio di affrontare un processo penale per avere emesso un assegno falso di poco valore, quando potrebbe evitare l’integrazione del reato falsificando assegni non trasferibili per importi maggiori? Ha senso ipotizzare che il falsario sarà egualmente dissuaso dalla sanzione pecuniaria civile da euro 200 a euro 12.000 introdotta dall’art. 3 D.L.gs. 7/2016 in luogo della corrispondente norma penale abrogata?