Con l’entrata in vigore della L. 23 giugno 2017 n. 3 è stato introdotto nel codice penale l’articolo 162-ter che delinea una nuova causa di estinzione del reato, ossia quella derivante dalle ‘condotte riparatorie’ poste in essere dall’imputato, applicabile ai reati procedibili a querela della persona offesa se dalla stessa remissibili. Apparentemente ricalcata sull’analoga causa di estinzione riservata al Giudice di Pace dall’art. 35 del D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274, la nuova norma se ne discosta per alcune peculiarità.
Ciò che risalta sin dalla prima lettura è la circostanza che l’art. 162-ter c.p. preveda come limite non oltrepassabile entro il quale deve essersi già provveduto alla riparazione del danno la dichiarazione di apertura del dibattimento, anziché l’udienza di comparizione come prescritto dall’art. 35 D.Lgs 274/2000, lasciando almeno astrattamente spazio per l’applicazione di questa causa estintiva di carattere generale ai processi di competenza del Giudice di Pace. Si osserva infatti che nella pratica, non di rado, verbalizzata la comparizione delle parti (con conseguente preclusione dell’applicabilità dell’ipotesi estintiva di cui all’art. 35 D.Lgs. 274/2000), il Giudice di Pace scelga di rinviare l’udienza per un periodo non superiore ai due mesi, ai sensi dell’art. 29 c. 4 D.Lgs. 274/2000, per favorire la conciliazione tra imputato e parte civile, essendo egli tenuto per legge a esperire il tentativo di conciliazione proprio nei casi di procedibilità a querela. Ebbene, se si ritenesse applicabile la ‘nuova’ causa di estinzione anche al processo che si svolge avanti al Giudice di Pace, in tale arco di tempo si vedrebbe prolungata per l’imputato l’occasione di restituire, riparare e risarcire, e ciò a prescindere dalla disponibilità della persona offesa (la quale, per le più svariate ragioni, potrebbe rivelarsi poco incline a monetizzare l’ingiustizia subita): infatti l’art. 162-ter c.p. ammette che il risarcimento possa essere riconosciuto “anche in seguito ad offerta reale ai sensi dell’art. 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo”. Anche da un punto di vista sistematico sarebbe contemplabile il riconoscimento della facoltà di dichiarare estinto il reato per intervenuta riparazione oltre l’udienza di comparizione delle parti: la stessa domanda di oblazione (altra causa estintiva del reato) può essere presentata finché non venga dichiarato aperto il dibattimento ai sensi dell’art. 29 c. 6 D.Lgs. 274/2000.
Molteplici ragioni suggeriscono tuttavia di limitare l’applicazione della nuova causa estintiva ai processi di competenza del Tribunale, rilevando in primo luogo l’art. 16 c.p. rubricato Leggi penali speciali, il quale precisa che le norme presenti nel codice penale si applichino anche alle materie regolate da altre leggi penali qualora “non sia da queste stabilito altrimenti”: poiché il processo delineato dal D.Lgs. 274/2000 disciplina autonomamente l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, davanti al Giudice di Pace non può trovare spazio la norma generale che è stata introdotta nel codice penale.
Altra differenza tra l’art. 35 D.Lgs. 274/000 e l’art. 162-ter c.p. si ravvisa peraltro nella natura delle valutazioni che deve compiere il Giudice di Pace prima di dichiarare estinto il reato: oltre ad accertarsi che il danno sia stato riparato, con risarcimento o restituzione, e oltre ad assicurarsi che le conseguenze dannose e pericolose del reato siano state eliminate (come previsto anche dalla norma di portata generale), egli deve altresì verificare, ai sensi secondo comma del citato articolo 35, se le attività risarcitorie e riparatorie possano reputarsi “idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”. L’indagine in questione, posta a salvaguardia dell’interesse pubblico alla prevenzione e repressione dei reati, è invece irrilevante ai fini dell’estinzione del reato per condotte riparatorie nel processo che si svolge in Tribunale, almeno attenendosi alla lettera della norma: sembra infatti che il legislatore, in un’ottica marcatamente deflattiva, concentratosi sugli interessi privati che l’imputato deve soddisfare – consistenti nella (1) restituzione o risarcimento del danno nonché nella (2) eliminazione di conseguenze dannose o pericolose del reato – abbia abbandonando qualsiasi velleità punitiva.
Ciò considerato, se si ritenesse applicabile l’art. 162-ter c.p. al procedimento inanzi al Giudice di Pace dovrebbe accettarsi l’eventualità che l’imputato cui dapprima venga negata l’estinzione del reato per inidoneità delle attività riparatorie svolte alla soddisfazione di esigenze preventive, possa giovarsi del medesimo istituto a conciliazione fallita, per sopravvenuta irrilevanza dell’interesse pubblico.
Nonostante l’estinzione del reato per condotta riparatoria appaia, paradossalmente, meno agevole inanzi al Giudice di Pace, va rilevato che le diversità riscontrate possano ritenersi in un certo modo contemperate, almeno da un punto di vista pratico, da altri aspetti processuali. Intanto perché, mancando nel procedimento avanti al Tribunale l’obbligo di tentare la conciliazione – ai sensi dell’art. 555 c. 3 c.p.p. il giudice deve infatti limitarsi a verificare se il querelante sia disposto a rimettere la querela e se il querelato voglia accettare la remissione – il termine utile per provvedere alla riparazione del danno nelle due ipotesi è pressoché coincidente (alla c.d. udienza filtro infatti, una volta appurata la presenza delle parti coinvolte, in assenza di questioni preliminari si dichiara aperto il dibattimento). In secondo luogo perché, seppure la celebrazione della prima udienza davanti al Giudice di Pace sia preclusiva ai fini di una pronuncia ex art. 35 D.Lgs. 274/2000 (eccetto che per l’imputato impossibilitato a riparare tempestivamente il danno), l’estinzione del reato potrà comunque sopravvenire con la remissione di querela a seguito della buona riuscita del tentativo di conciliazione, che in genere si traduce ugualmente nel raggiungimento di un accordo in termini risarcitori, nel quale quindi perde consistenza qualsiasi esigenza punitiva o preventiva.