La gravità di un evento tragico come la morte lascia supporre che una sua causazione illecita, colposa o dolosa che sia, faccia sorgere un obbligo di risarcimento del danno da perdita della vita a carico del responsabile. Ma è realmente così?
2. COMPONENTI DEL DANNO NON PATRIMONIALE
3. DIRITTO AL RISARCIMENTO DEI PARENTI
1. VOCI DI DANNO
In linea generale, l’entità del risarcimento riconoscibile per le lesioni provocate alla persona dipende dalla quantificazione dei danni patrimoniali e dei danni non patrimoniali subiti. Hanno natura patrimoniale il danno emergente (ossia le spese sostenute per le cure mediche) e il lucro cessante (vale a dire, il guadagno che la vittima avrebbe conseguito in assenza dell’evento lesivo). Di converso, non incidono direttamente sul piano economico il danno biologico e gli altri diversi pregiudizi afferenti a valori o a interessi costituzionalmente tutelati.
2. COMPONENTI DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Il danno biologico rappresenta la menomazione dell’integrità psicofisica, che può essere temporanea o permanente e che incide sull’attività quotidiana del soggetto e sugli aspetti dinamico-relazionali della sua vita. Affinché esso sia risarcito è necessaria la sopravvivenza della vittima all’evento lesivo.
Tendenzialmente, insieme al danno biologico viene liquidato anche il danno morale da lesione all’integrità fisica, ossia la sofferenza puramente interiore (considerata anche dall’art. 138 lett. E D.Lgs. n. 209/2005), nonché gli altri danni collaterali dipendenti dal peggioramento delle condizioni di salute della vittima (come quello da cenestesi lavorativa). Del resto, il giudice deve tenere conto “di tutte le conseguenze (modificative ‘in peius’ della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici” (Cass. Civ. Sez. III Sent. n. 26305 del 17.10.2019).
3. DIRITTO AL RISARCIMENTO DEI PARENTI
Se il fatto illecito provoca la morte della vittima, i suoi congiunti possono domandare in proprio il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, in ragione delle specifiche conseguenze che discendono dalla definitiva cancellazione di una relazione personale caratterizzata dalla particolare pregnanza emotiva e implicazione affettiva, da considerare sempre nella duplice dimensione del c.d. danno morale e del danno rappresentato dalla modificazione delle attività nella vita quotidiana, anche in una prospettiva dinamico-relazionale (in questo senso, Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 9857 del 28.03.2022).
Sotto un profilo probatorio, la ricorrenza di questo pregiudizio non patrimoniale si presume per chi appartiene alla c.d. famiglia nucleare (costituita da coniuge, genitori, figli e fratelli) ed è bene evidenziare che il relativo diritto al risarcimento sorge direttamente in capo al familiare, ossia a colui che prova sofferenza per la perdita subita: non essendo trasmesso mortis causa dal defunto non occorre che sia dimostrata la qualifica di erede, ma solamente il rapporto di parentela. Sarebbe invece possibile agire in qualità di eredi per ottenere un risarcimento del danno consistente nel decesso del dante causa in senso stretto?
4. DANNO TERMINALE
Secondo consolidata giurisprudenza un danno da perdita della vita non è mai invocabile dagli eredi in caso di morte del de cuius, per il venir meno del soggetto che avrebbe diritto al risarcimento nel momento stesso in cui dovrebbe sorgere il relativo credito (come ha chiarito Cass. Civ. S.U. Sent. n. 15350 del 22.07.2015).
Ciononostante, si ritiene configurabile e trasmissibile agli eredi il credito risarcitorio derivante dalle due componenti di danno non patrimoniale consistenti nel danno biologico terminale, per l’invalidità temporanea accertabile nell’ipotesi in cui la morte sia sopraggiunta dopo un apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo (ritenendosi necessario il trascorrere di almeno un giorno) e nel danno morale terminale o catastrofale, per la sofferenza patita da chi abbia lucidamente percepito lo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di un suo stato di coscienza nell’intervallo tra l’evento lesivo e la morte (Cass. Civ. Sez. lav. Sent. n. 7640 del 19.03.2019 e Cass. Civ. Sez. VI-3 Ord. n. 32372 del 13.12.2018).