mantenimento figlio maggiorenne

Contributo al mantenimento dei figli: gli ultimi orientamenti giurisprudenziali

Periodicamente la Suprema Corte fornisce nuovi chiarimenti su questioni datate e mi è parso opportuno aggiornarvi.

1. QUANDO SORGE IL DIRITTO AL CONTRIBUTO

2. QUANDO VIENE MENO IL DIRITTO ALL’ASSEGNO

3. INDIPENDENZA E CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

4. RETROATTIVITÀ DELLA REVOCA DELL’OBBLIGO

1. QUANDO SORGE IL DIRITTO AL CONTRIBUTO

Il genitore collocatario o affidatario acquisisce il diritto di percepire un contributo per il mantenimento dei figli dal momento in cui cessa la coabitazione con l’altro genitore, indipendentemente dalla data di proposizione della domanda volta al suo conseguimento. Del resto, solamente dal momento in cui si conclude effettivamente la convivenza acquistano efficacia le statuizioni in materia di affidamento e, con esse, i consequenziali provvedimenti di natura economica, poiché nel perdurare della coabitazione sussiste una presunzione di contribuzione, seppure suscettibile di prova contraria (Cass. Civ. Sez. VI-1 Ord. n. 3302 del 08.02.2017).

2. QUANDO VIENE MENO IL DIRITTO ALL’ASSEGNO

Posto che la funzione del contributo è garantire il mantenimento della prole, la relativa obbligazione viene meno col raggiungimento dell’autosufficienza economica dei figli, da intendersi come capacità degli stessi di inserirsi nel mondo del lavoro, o anche in caso di costituzione di un nuovo nucleo familiare da parte loro.

Giustifica altresì la revoca dell’assegno la c.d. colpevole inerzia, ossia il rifiuto ingiustificato di cogliere le occasioni per raggiungere l’indipendenza e il più recente orientamento giurisprudenziale è piuttosto rigoroso al riguardo: il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona(Cass. Civ. Sez. I Sent. n. 27904 del 13.10.2021 e, nello stesso senso, Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 17183 del 14.08.2020).

3. INDIPENDENZA E CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

Col dilagare del precariato risulta ormai difficile prevedere le sorti lavorative di chi viene assunto a tempo determinato o a chiamata. La corte di legittimità si è recentemente soffermata su questo aspetto osservando che “lo svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, ancorché prestata in esecuzione di un contratto a tempo determinato, ben può costituire, in tal senso, un elemento rappresentativo della capacità dell’interessato di procurarsi una adeguata fonte di reddito (e quindi della raggiunta autosufficienza economica). Se infatti quel che rileva è la capacità del figlio maggiorenne di far fronte alle proprie esigenze, appare incongruo affermare, in via generale e astratta, che il diritto del detto soggetto alla corresponsione dell’assegno permanga nel caso in cui lo stesso svolga un’attività lavorativa in forza di un contratto di lavoro a termine” (Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 40282 del 15.12.2021).

La suddetta pronuncia sembra sottintendere che la revocabilità del contributo dipenda non tanto dalla continuità del rapporto lavorativo, quanto piuttosto dall’entità dello stipendio riconosciuto al lavoratore e le argomentazioni addotte lasciano pochi dubbi al riguardo: “Ai fini che qui interessano conta, infatti, l’inserimento del figlio in questione nel mondo del lavoro con lo svolgimento di un’attività retribuita, tale da esprimere la capacità dello stesso di provvedere alle proprie esigenze e di affrancarsi, così, da quella condizione di dipendenza economica rispetto al nucleo familiare di appartenenza (…). In tale prospettiva, la possibile cessazione del rapporto lavorativo per la scadenza del termine e il mancato rinnovo del contratto non ha, a ben vedere, un significato diverso dalla perdita dell’occupazione generata da un contratto indeterminato o dal negativo andamento di un’attività intrapresa dal figlio stesso in proprio: evenienze, queste, che la giurisprudenza di questa Corte reputa escludano la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento(sempre Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 40282 del 15.12.2021).

4. RETROATTIVITÀ DELLA REVOCA DELL’OBBLIGO

La giurisprudenza è tuttora ondivaga nellattribuire efficacia retroattiva al provvedimento di revoca dell’assegno destinato al mantenimento della prole: se di recente si era affermato che, in caso di modifica giudiziale delle condizioni economiche intervenuta in ragione della raggiunta indipendenza dei figli, il genitore obbligato avrebbe potuto esercitare l’azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. anche con riferimento alle somme corrisposte in epoca antecedente alla domanda di revisione, purché la causa giustificativa del pagamento fosse già venuta meno (Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 3659 del 13.02.2020), vi è poi stato un ripensamento, ritenendosi del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’obbligo suddetto(Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 4224 del 17.02.2021). Non si esclude però che la questione venga ulteriormente rimeditata, o comunque approfondita, specie alla luce della recentissima sentenza a Sezioni Unite n. 32914 del 08.11.2022 che ha fornito utili chiarimenti in merito alla ripetibilità dell’assegno divorzile.