I soliti animali domestici non ti attirano e vorresti procurarti la compagnia di un tenero orsetto? Meglio di no e ti spiego subito perché.
1. TUTELA NAZIONALE DELL’ANIMALE SELVATICO
3. LA CONTRAVVENZIONE CODICISTICA
1. TUTELA NAZIONALE DELL’ANIMALE SELVATICO
Occorre premettere che la normativa posta a salvaguardia degli animali selvatici è piuttosto eterogenea e stratificata. La Legge 11 febbraio 1992 n. 157 (riportante Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) tutela le specie di mammiferi e uccelli che si trovano stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale e definisce ‘particolarmente protetti’ i seguenti mammiferi: lupo, sciacallo dorato, orso, martora, puzzola, lontra, gatto selvatico, lince, foca monaca, tutte le specie di cetacei, cervo sardo, camoscio d’Abruzzo. Nel contempo la stessa legge esclude dal novero degli animali protetti svariati roditori (ratti, topi, nutrie, arvicole) nonché le talpe, riconoscendo comunque la tutela alle specie in via di estinzione, laddove siano dichiarate tali da direttive comunitarie o convenzioni internazionali, o comunque da apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Va infatti precisato che ulteriori limitazioni alla cattura e all’uccisione di animali sono imposte da disposizioni sovranazionali, che si occupano, tra l’altro, anche di rettili, anfibi e pesci, quindi classi tassonomiche non considerate dalla suddetta legge: del resto, gli ecosistemi naturali prescindono dai confini politici.
2. ILLECITI VENATORI E NON
L’art. 30 della L. n. 157/1992 individua alcune condotte penalmente rilevanti (punisce, ad esempio, la cattura di esemplari di orso con l’arresto da tre mesi a un anno e l’ammenda da € 1.032 a € 6.197), ma la giurisprudenza ha più volte chiarito che queste contravvenzioni delineano reati propri, in quanto destinate a sanzionare unicamente il titolare di licenza di caccia che agisca in spregio delle limitazioni previste, mentre non si applicano al bracconiere (come ricorda Cass. Pen. Sez. IV Sent. n. 13506 del 30.04.2020). Di quali reati risponde chi non è invece autorizzato a praticare l’esercizio venatorio?
3. LA CONTRAVVENZIONE CODICISTICA
Il D.Lgs. 7 luglio 2011 n. 121 ha recepito la direttiva CE n. 2008/99 sulla tutela penale dell’ambiente introducendo la criptica contravvenzione di cui all’art. 727 bis cod. pen. in base alla quale “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie“. Deve dunque ritenersi che si tratti di una sanzione speculare a quella dell’art. 30 della L. n. 157/1992 da irrogare a chi sia privo di licenza di caccia? Naturalmente no.
4. IL FURTO VENATORIO
In primo luogo va puntualizzato che le specie tutelate dall’art. 727 bis cod. pen. sono quelle indicate nell’allegato IV della Direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della Direttiva 2009/147/CE (come specificato dall’art. 1 c. 2 del D.Lgs. n. 121/2011), per cui non vi è coincidenza con la fauna protetta dalla L. n. 157/1992.
Inoltre, la clausola di riserva che subordina l’applicabilità dell’art. 727 bis c.p. all’insussistenza di una più grave fattispecie penale assume particolare significato se si considera che, ai sensi dell’art. 1 c.1 L. 157/1992, “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato“, poiché in questo modo la sottrazione di un animale al suo ambiente naturale può integrare il reato comune di furto, ossia quello delineato dagli articoli 624 e ss. cod. pen.
Al riguardo è stato opportunamente osservato che la ricorrenza del delitto di furto sia stata espressamente esclusa soltanto con riferimento alle condotte previste dall’articolo 30 (mediante il suo comma 3) e da tutto l’articolo 31 (mediante il suo comma 5) della L. n. 157/1992, ossia “quelle che possono essere commesse dai titolari di licenza di caccia i quali, non rispettando gli specifici limiti, pratichino l’uccellagione o l’esercizio della caccia con mezzi vietati“ (Cass. Pen. Sez. V, Sent. n. 12515 del 24.03.2016): ne deriva che in tutti gli altri casi di cattura di animali il reato debba reputarsi sussistente.
5. PER GLI AMANTI DEL RISCHIO
Va infine menzionata la Legge 7 febbraio 1992 n. 150 (disciplinante i reati afferenti la commercializzazione di animali e vegetali), il cui articolo 6 punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da € 15.000 a € 300.000 la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici o provenienti da riproduzione in cattività che costituiscano “pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica“: in virtù del principio di specialità, la norma può trovare applicazione in luogo del reato di ricettazione che si consumerebbe a carico di chi consegua il possesso di animali provenienti da delitto (proprio come il furto), laddove questi appartengano a specie pericolose.