Proscioglimento ai sensi dell’art. 131 bis c.p.: riservato alle offese di particolare tenuità cum laude.

L’art. 131 bis c.p., introdotto dal D.Lgs. 16 maggio 2015 n. 28 – che a sua volta è stato emanato in attuazione della legge delega 28 aprile 2014 n. 67 – delinea il perimetro entro cui possa escludersi la punibilità di chi abbia commesso un reato per particolare tenuità dell’offesa, ispirandosi in parte all’art. 34 del D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274 che ammette ipotesi di “esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto” per i reati di competenza del Giudice di Pace, e in parte alla previsione di cui all’art. 27 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 che contempla la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere “per irrilevanza del fatto” nell’ambito del processo penale minorile.

In primo luogo la norma si sofferma sulla pena prevista per il reato contestato (e quindi alla sua gravità intrinseca), ammettendo l’applicazione della causa di non punibilità (1) ai reati puniti con pena pecuniaria e (2) ai reati puniti con pena detentiva, anche congiuntamente a pena pecuniaria, se la pena edittale non sia superiore nel massimo ad anni cinque (ai fini della del computo non deve tenersi conto delle circostanze a efficacia speciale e di quelle a effetto speciale). La particolare tenuità dell’offesa deve poi individuarsi nelle “modalità della condotta” e, al contempo nella “esiguità del danno o del pericolo” e con riferimento a questi due elementi vi è un espresso richiamo all’art. 133 c. 1 c.p., norma che regola appunto l’esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice nella determinazione della pena da infliggere concretamente entro la forbice edittale. Nel secondo comma dell’art. 131 bis c.p. sono tuttavia espressamente elencate alcune circostanze ricorrendo le quali la particolare tenuità dell’offesa debba essere esclusa, ossia “quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.

Preclusiva al riconoscimento della sussistenza della causa di non punibilità è poi l’abitualità del comportamento: in quest’ottica è infatti stato previsto, apportando una modifica all’art. 3 c. 1 lett. F D.P.R. 14 novembre 2002 n. 313, che debbano iscriversi nel casellario giudiziale anche i provvedimenti giudiziari definitivi “che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale”, di modo che al reo sia impedito di giovarsi a oltranza di questo istituto.

La norma di diritto penale sostanziale è inoltre stata affiancata da alcuni meccanismi processuali volti ad anticipare gli effetti che discenderebbero dal riconoscimento, nel corso del giudizio, dei presupposti che verosimilmente condurrebbero a una pronuncia di non punibilità per particolare tenuità del fatto: la finalità meramente deflattiva dell’istituto emerge nella sua massima evidenza con la previsione di cui all’art. 411 c. 1 bis c.p.p. che, su impulso del pubblico ministero, attribuisce al giudice la possibilità di disporre l’archiviazione degli atti per particolare tenuità del fatto, impedendo che sia evitato persino l’esercizio dell’azione penale e consentendo quindi che l’iter processuale si arresti prima che la persona sottoposta alle indagini assuma la qualifica di imputato. In linea con l’obiettivo di definire il processo con il minore dispendio di risorse possibili, è stato introdotto il comma 1 bis all’art. 469 c.p.p. che riconosce al giudice la possibilità di pronunciare una sentenza di non doversi procedere, sempre per la particolare tenuità del fatto, subordinata all’audizione in camera di consiglio della persona offesa che sia comparsa: in questo caso quindi viene evitata l’apertura del dibattimento. Si osserva tuttavia che la persona offesa avrà però maggiore interesse a ottenere una pronuncia ai sensi dell’art. 131 bis c.p., in quanto solo alla sentenza irrevocabile di proscioglimento per particolare tenuità del fatto pronunciata a seguito del dibattimento è riconosciuta efficacia di giudicato nei procedimenti civili e amministrativi volti a ottenere le restituzioni e il risarcimento del danno (come specificato dall’art. 651 bis c.p.p.).

La difficoltà inerente all’applicazione dell’istituto in esame risiede nella corretta individuazione del fatto che possa reputarsi particolarmente tenue, dovendo la causa di non punibilità coesistere con altre norme che attribuiscono autonoma rilevanza all’esiguità dell’offesa: l’ultimo comma dell’art. 131 bis c.p. ammette infatti l’operatività della causa di non punibilità anche nelle ipotesi in cui la legge abbia previsto che la particolare tenuità del danno o del pericolo costituisca una circostanza attenuante (si veda, a titolo esemplificativo, l’art. 323 bis c.p. per i delitti contro la P.A. o l’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 4 c.p. per i delitti contro il patrimonio, che fa riferimento al danno o al lucro di “speciale tenuità”). Questa precisazione era doverosa per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, se non si potesse prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 131 bis c.p. nei casi rispetto ai quali il legislatore aveva già espresso l’opportunità di ridurre la pena in ragione del contenuto disvalore della condotta si conseguirebbe illogicamente l’effetto di applicare un trattamento sanzionatorio sfavorevole per quei reati che originariamente avrebbero avuto accesso a una pena mitigata. Secondariamente, l’applicazione della causa di non punibilità anche ai reati nei quali la particolare tenuità del fatto riveste un ruolo autonomo aiuta a delineare il perimetro entro cui l’istituto dovrebbe generalmente operare, dovendo distinguersi dalla particolare tenuità che condurrebbe al semplice riconoscimento della circostanza attenuante: il proscioglimento si avrebbe quindi in ipotesi in cui il disvalore della condotta o dell’evento sia quasi insignificante (seppure, ovviamente, non al punto di diventare inoffensivo). In questo modo si scongiurerebbero, di nuovo, trattamenti di favore nei confronti di chi abbia commesso reati per i quali non sia prevista una circostanza attenuante fondata sulla particolare tenuità, poiché, per potere rilevare ai fini della non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. dovrebbe comunque trattarsi di una ‘particolare tenuità di secondo livello’.

L’ambito di operatività della causa di esclusione della punibilità può essere schematizzato prendendo come termine di paragone le terrazze degradanti di una ziqqurat: alla base si trova il reato al quale non può essere applicata attenuante alcuna tra quelle fondate sulla minore rilevanza del fatto (o del danno, o del pericolo), al livello successivo si trova il reato a cui può essere applicata, se prevista, la circostanza attenuante della lieve entità (si veda ad es. la circostanza a effetto speciale per i “casi di lieve entità” di cui all’art. 4 c. 3 L. 18 aprile 1975 n. 110 riferita al porto di oggetti atti a offendere). Più in alto, in quanto presuppone un minor grado di rimproverabilità, va collocata la circostanza attenuante speciale della particolare tenuità del fatto (o, a seconda dei casi, del danno o del pericolo, se il legislatore ha posto l’accento sull’evento realizzatosi, o sul bene tutelato piuttosto che sul fatto tipico), tenendo comunque presente che in alcuni casi la giurisprudenza abbia ritenuto applicabili cumulativamente sia la circostanza attenuante speciale che guarda alla tenuità del fatto tipico, sia quella comune che guarda al danno patrimoniale di speciale tenuità (ad es. recentemente Cass. Pen. Sez. Vi Sent. 8 febbraio 2017 n. 5812 che, ai fini della determinazione della pena ha ammesso la contestuale rilevanza dell’art. 62 n. 4 c.p. e dell’art. 73 c. 5 D.P.R. 309/1990). Infine, sull’ultimo gradino, ove vanno collocati i fatti di rilevanza penale pressoché solo formale, si può ambire al riconoscimento della causa di non punibilità: questa interpretazione trova un’implicita conferma nella Relazione allegata allo Schema di decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 1, comma 1 lett. M, della legge 28 aprile 2014, n. 67” ove viene espressamente evidenziata sia la differenza tra la c.d. ‘irrilevanza del fatto’ (non punibile per ragioni di economia processuale) e la ‘inoffensività del fatto’ (non costituente reato), sia la necessità che il fatto di particolare tenuità, per essere dichiarato non punibile “superi la soglia della circostanza e giunga ad integrare gli estremi di quella particolare ‘irrilevanza’ desumibile dai requisiti e criteri di cui al primo comma”. Sulla necessità di mantenere distinte le ipotesi di reato attenuato da quelle di reato non punibile si è già espressa anche la corte di legittimità che, ispirandosi a precedenti pronunce riguardanti il rapporto tra la circostanza di cui all’art. 648 c. 2 c.p. (applicabile al reato di ricettazione quando il fatto sia di particolare tenuità) e quella di cui all’art. 5 L. 2 ottobre 1967 n. 895 (applicabile ai reati sul controllo delle armi se il fatto sia di lieve entità) che ponevano l’accento sulla differenza tra fatto di lieve entità e fatto di particolare tenuità, per escludere la sussistenza della particolare tenuità di cui all’art. 131 bis c.p. ha concluso che “uno stesso fatto può essere di lieve entità e non essere al contempo anche particolarmente tenue attesoché un grado minore di disvalore connota il fatto particolarmente tenue rispetto a quello di lieve entità” (Cass. Pen. Sez. I Sent. 30 giugno 2015 n. 27246).