Il rifiuto di riconoscere un figlio può cagionare un danno esistenziale risarcibile o a seguito dell’accertamento va rifuso il solo danno materiale?
1. OBBLIGO DI MANTENIMENTO
2. DANNO ENDOFAMILIARE
3. PRESUPPOSTO RISARCITORIO
4. RICONOSCIMENTO ALTRUI
Se in passato le domande di dichiarazione giudiziale di paternità erano scoraggiate tanto dalla difficoltà di dimostrare il rapporto di filiazione, quanto dalla previsione normativa di un vaglio di ammissibilità preliminare al giudizio, ormai questi ostacoli sono venuti meno, grazie al progresso scientifico in ambito genetico e all’intervenuta pronuncia di incostituzionalità dell’iter procedurale di cui all’art. 274 cod. civ. che imponeva al Tribunale di esprimersi sull’opportunità o meno di accertare lo status filiationis, risolvendosi in un’irragionevole compressione del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost. (Corte Cost. Sent. n. 50 del 10.02.2006).
L’accertamento della paternità non è fine a se stesso, poiché col passaggio in giudicato della relativa sentenza sorge automaticamente a carico del padre un’obbligazione consistente nel dovere di contribuire al mantenimento del figlio. Di converso, la liquidazione di un danno esistenziale per avere il minore sofferto l’assenza del genitore è solo eventuale.
Il concetto di ‘danno endofamiliare’ è di recente elaborazione perché è sorto col tramontare di una visione gerarchizzata e compartimentale dei ruoli familiari. Abbandonato questo approccio discriminatorio, ora è pacificamente riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale cagionato ai congiunti quando esso derivi dalla violazione di valori costituzionali, quali la dignità sociale, l’eguaglianza (art. 3 Cost.), la parità morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.), nonché il dovere genitoriale di mantenimento e di educazione (art. 30 Cost.), secondo un’applicazione evolutiva della riserva di legge di cui all’art. 2059 cod. civ.
Il danno endofamiliare può scaturire sia da condotte che si sviluppano in relazione al rapporto di coniugio, sia dalla violazione dei doveri genitoriali. In quest’ultima ipotesi ha inciso in modo significativo l’eliminazione della distinzione tra figli legittimi e naturali da qualsiasi norma vigente nel nostro ordinamento giuridico, a opera della Legge 10 dicembre 2012 n. 219.
Nell’ambito del rapporto padre-figlio l’azione risarcitoria si giustifica se il rifiuto del ruolo genitoriale presenta i caratteri tipici dell’illecito civile: deve quindi essere “causalmente determinante, colpevole e cagionare un danno ingiusto” (Cass. Civ. Sez. I Ord. n. 22496 del 09.08.2021).
Considerando che alla consumazione di rapporti non protetti non consegue automaticamente l’insorgere di una gravidanza, appare imprescindibile che il padre sia stato anteriormente informato dalla madre della nascita. Infatti, il ricorrere della responsabilità civile a carico del genitore per non avere riconosciuto il figlio presuppone quanto meno la consapevolezza della procreazione da parte sua, mentre non può attribuirsi colpa alcuna a chi non sia stato posto nella condizione di assumere spontaneamente il ruolo che gli spetta.
Conseguentemente, la risarcibilità del danno endofamiliare viene esclusa quando il figlio sia già stato riconosciuto da un altro uomo: in questo caso risulterebbe anzitutto difficile dimostrare che il padre biologico conosca la verità – potendo al più ipotizzarla – e sarebbe tanto più complicato attribuirgli una responsabilità laddove la madre abbia arbitrariamente scelto di rimpiazzarlo. Peraltro, anche sotto l’aspetto procedurale, la dichiarazione giudiziale di paternità resterebbe subordinata al previo vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento del genitore ‘in carica’.