Hai litigato con la tua migliore amica e temi che possa divulgare scatti che ti ritraggono struccata e col volto texturizzato dall’acne, o pubblicare filmati dove danzi indossando un pigiama a righe orizzontali? Può farlo? Puoi impedirglielo?
2. ABUSO DELL’IMMAGINE E TUTELA INIBITORIA
3. FUNZIONE ECONOMICA DELL’IMMAGINE
4. DINIEGO DEL CONSENSO E RISARCIMENTO
5. PROVA DEL DANNO ALL’IMMAGINE
1. NORMATIVA RILEVANTE
La tutela dell’immagine personale, intesa come raffigurazione dell’individuo, è garantita sommariamente dall’art. 10 cod. civ. e, in maniera più specifica, dalla Legge n. 633 del 22 aprile 1941 sul diritto d’autore, che vieta l’esposizione, la riproduzione e la commercializzazione del ritratto senza il consenso di chi vi è rappresentato. Se la persona fotografata o dipinta non è più in vita e non ha provveduto lasciando istruzioni scritte si rende necessario il consenso sia del coniuge che dei figli o, in loro mancanza, dei genitori e, se pure questi sono deceduti, il diritto si trasmette a fratelli e sorelle (e in ultimo, agli ascendenti e ai discendenti diretti fino al quarto grado).
In deroga alla previsione generale, non occorre autorizzazione da parte di alcuno se la riproduzione è giustificata dalla notorietà o dall’incarico pubblico rivestito dal soggetto rappresentato, oppure da esigenze di giustizia, di polizia, scientifiche, didattiche o culturali, o infine se la persona è stata ritratta in occasione di avvenimenti e cerimonie di interesse pubblico o svoltisi pubblicamente. Sono in ogni caso precluse l’esposizione e la messa in commercio di immagini idonee a ledere l’onore, il decoro o la reputazione delle persone ivi raffigurate.
2. ABUSO DELL’IMMAGINE E TUTELA INIBITORIA
L’art. 10 cod. civ. tutela l’immagine della persona in termini assoluti quale diritto all’identità, al decoro e alla reputazione e attribuisce al suo titolare il diritto di agire giudizialmente per farne cessare l’abuso e ottenere il risarcimento del danno, a prescindere dall’impiego che è stato fatto del ritratto. Il risarcimento può parimenti essere liquidato a seguito di condanna per il reato di diffamazione, se ne sussistono i presupposti: l’ipotesi delittuosa si configura senz’altro con la pubblicazione di fotografie oscene sui social network “in quanto azione idonea ad offendere l’altrui reputazione, comunicando con più persone” (come ricorda Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 19659 del 08.05.2019).
La legge sul diritto d’autore è invece focalizzata sul valore commerciale delle opere figurative e consente a chi è rappresentato nel ritratto indebitamente utilizzato per fini economici di agire sia nei confronti dell’autore della violazione, sia nei confronti degli intermediari dei cui servizi il responsabile si sia avvalso per commettere l’illecito. Il giudice – ossia la sezione specializzata in materia di impresa del tribunale territorialmente competente – oltre a vietare l’uso dell’immagine può predeterminare la somma dovuta per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento e per eventuali successive violazioni.
Talvolta risulta difficile avere contezza della gravità dell’abuso, ma se il giudice ravvisa il fumus boni iuris può ordinare l’esibizione di documenti o richiedere informazioni alla controparte, anche al fine di identificare i soggetti implicati nella produzione e nella distribuzione dei beni e dei servizi che costituiscono la violazione del diritto. Peraltro, se la condotta illecita include la commercializzazione del ritratto, su istanza di parte può essere disposta l’esibizione della documentazione bancaria, finanziaria e commerciale in possesso del convenuto ed è possibile desumere argomenti di prova dal suo rifiuto ingiustificato di ottemperare agli ordini.
3. FUNZIONE ECONOMICA DELL’IMMAGINE
Poiché la tutela apprestata dalla legge sul diritto d’autore alla propria immagine (o a quella del caro estinto) è imperniata sulla lesione del diritto all’utilizzazione economica, l’art. 158 L. 633/1941 specifica anche i criteri di liquidazione del danno applicabili, richiamando gli articoli 1223 (perdite subite e guadagni mancati), 1226 (determinazione equitativa in via residuale) e 1227 (responsabilità concorrente dell’avente diritto) del codice civile. La norma precisa altresì che l’ammontare del lucro cessante presuppone un equo apprezzamento delle circostanze del caso ai sensi dell’art. 2056 cod. civ. “tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto” e lascia inoltre al giudice la facoltà di liquidare il danno in via forfettaria sulla base “dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione”, oltre a confermare la risarcibilità dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ.
4. DINIEGO DEL CONSENSO E RISARCIMENTO
Ma come si quantifica il c.d. prezzo del consenso nei casi in cui l’assenso, se richiesto, non sarebbe stato ugualmente prestato? La giurisprudenza ha escluso che il rifiuto di concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica comporti il venire meno del danno patrimoniale, ritenendo che in questo caso esso vada determinato in via equitativa, commisurandolo al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e a eventuali ulteriori circostanze rilevanti ai fini della liquidazione. È stato infatti osservato che “per un verso, detto rifiuto non può essere equiparato ad una sorta di abbandono del diritto, con conseguente caduta in pubblico dominio (…) e, per altro verso, la stessa gestione può comportare la scelta di non sfruttare un determinato ritratto, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto; con la conseguenza che lo sfruttamento abusivo del ritratto, in quanto frustrante della predetta strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare fonte di pregiudizio ben più grave di quello corrispondente al valore commerciale della specifica attività abusiva il cui risarcimento ben può essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale” (Cass. Civ. Sez. I Sent. n. 1875 del 23.01.2019).
5. PROVA DEL DANNO ALL’IMMAGINE
Con altra recente pronuncia la corte di legittimità ha tuttavia chiarito che, a prescindere dalla mancanza di consenso all’esposizione e alla pubblicazione del ritratto, se la rappresentazione “non è disdicevole o disonorevole, o contraria a qualsivoglia disposizione di ordine pubblico o di buon costume”, il danno patito deve essere dimostrato perché “non può mai essere ritenuto in re ipsa” (Cass. Civ. Sez. III Ord. n. 8880 del 13.05.2020). Può infatti accadere che l’immagine venga catturata nel corso di avvenimenti pubblici: in questi casi il suo utilizzo sarebbe lecito se fosse dettato da finalità di cronaca o di informazione, mentre se alla base della divulgazione vi fossero motivazioni differenti (per esempio, di natura pubblicitaria) riemergerebbe l’obbligo di ottenere la liberatoria da parte delle persone riconoscibili. In un contesto simile però, la mancanza di autorizzazione non implicherebbe automaticamente una lesione all’immagine o alla riservatezza, proprio in considerazione delle circostanze di tempo e luogo in cui lo scatto è stato effettuato.